Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista “Science Advances”, svela l'enigma del cemento romano e della sua lunga durata. Una ricerca che fa luce sulle abilità tecniche e sulla conoscenza ingegneristica dell'antico popolo.

A quanti di noi è capitato di ammirare un antico edificio di epoca romana e di rimanere esterrefatti di fronte alla sua impeccabile conservazione? Vero è, infatti, che moltissimi ponti, acquedotti e monumenti di epoca imperiale sono ancora presenti nelle nostre città dopo millenni dalla loro costruzione. Quali sono i segreti alla base della loro longevità? Com'è possibile che l'edilizia moderna sia spesso soggetta a fallimenti, mentre questi esempi di ingegneria antica si siano mantenuti nei secoli, come se il tempo non fosse mai passato? A rispondere a queste domande è ora un nuovo studio internazionale condotto da un team di studiosi composto da Linda M. Seymour, Janille Maragh, Paolo Sabatini, Michel Di Tommaso, James C. Weaver e Admir Masic. Si intitola Hot mixing: Mechanistic insights into the durability of ancient Roman concrete, e già nel suo titolo lascia intuire i segreti della longevità delle costruzioni dell’Antica Roma. LA RICERCA SUL CEMENTO ROMANO Pubblicata sulla rivista Science Advances, e condotta dal MIT – Massachusetts Institute of Technology in collaborazione con l’Università di Harvard e con il Museo Archeologico di Priverno, nel Lazio, la ricerca ha preso in esame una serie di campioni di cemento provenienti proprio dalle mura del sito archeologico laziale, esempio eccellente per constatare la resistenza dei materiali edilizi applicati in epoca imperiale. Osservando i reperti attraverso tecniche di imaging di ultima generazione, gli studiosi hanno rivelato la presenza di frammenti di calcare all'interno della miscela di cemento: un ingrediente aggiunto all'impasto non in maniera casuale (come si era ritenuto fino a oggi). Ulteriori approfondimenti hanno infatti dimostrato che i clasti calcarei, a contatto con l'acqua piovana, innescano una reazione in grado di "otturare" le crepe della struttura, immettendosi nelle fessure e dunque riparando il cemento in maniera naturale e continua. I DETTAGLI DELLA SCOPERTA Ma c'è di più. Le analisi condotte in laboratorio dagli studiosi hanno fornito nuovi indizi anche per quanto concerne la preparazione dello stesso cementizio. Le recenti analisi hanno infatti dimostrato che gli ingredienti inclusi nella miscela venivano lavorati a caldo. Calce viva, acqua e pozzolana (cenere di tipo vulcanico) venivano mescolati a temperature estremamente alte; una scelta che dava origine a processi chimici in grado di assicurare al composto maggiore resistenza – diversamente da quanto avviene oggi. E proprio il riferimento alle tecnologie del presente chiude lo studio, che mette a confronto – in maniera pratica – la longevità di due composti: uno miscelato a caldo con le tecniche antiche, l'altro simile a quello adottato per la costruzione delle nostre abitazioni. Il risultato? La netta efficacia del primo composto, più resistente e “immune” al tempo rispetto al secondo. Abbiamo ancora molto da imparare dagli antichi, e questa ricerca lo dimostra! [Immagine in apertura: A large-area elemental map (Calcium: red, Silicon: blue, Aluminum: green) of a 2 cm fragment of ancient Roman concrete (right) collected from the archaeological site of Privernum, Italy (left). A calcium-rich lime clast (in red), which is responsible for the unique self-healing properties in this ancient material, is clearly visible in the lower region of the image. Credits: Courtesy of the researchers]
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