Immergersi nelle opere di Salvador Dalí? A breve sarà possibile

Non si arresta l'interesse suscitato dalle <a href="https://arte.sky.it/news/mostra-van-gogh-toronto-drive-in" target="_blank">mostre immersive</a> che, ricorrendo ai più avanzati strumenti tecnologici, consentono al pubblico di avvicinarsi in maniera inedita ai capolavori dei grandi artisti. Eventi ad alto grado di spettacolarità, le rassegne multimediali mescolano linguaggio digitale, suoni e modalità di fruizione non convenzionali per restituire ai visitatori coinvolgenti punti di vista sulla poetica e le produzione creativa delle personalità a cui esse si ispirano. Ne è un esempio la mostra in arrivo alla Cattedrale dell'Immagine di Firenze il 16 settembre prossimo. La première mondiale di Inside Dalí farà immergere il pubblico nell'universo onirico e surreale del celeberrimo artista catalano, affiancando artefatti "fisici" a una sequenza di immagini ed effetti digitali resi possibili da una massiccia strumentazione tecnologica.<h2>DALÍ IN VERSIONE 2.0</h2> Se la prima parte della mostra, allestita fino al 16 gennaio 2022, riunisce alcune delle opere meno note di <a href="https://arte.sky.it/news/salvador-dali-mostra-florida" target="_blank">Dalí </a>‒ dai dischi da lui prodotti ai libri, dalla campagna pubblicitaria per le ferrovie francesi alle 100 xilografie tratte dagli acquerelli disegnati per la <a href="https://arte.sky.it/news/libro-illustrazione-divina-commedia-dante-bambini" target="_blank">Divina Commedia</a> ‒, il cuore della rassegna è rappresentato da uno spazio multimediale di 400 metri quadrati. Per 35 minuti, il visitatore potrà lasciarsi avvolgere dalle atmosfere tratteggiate con maestria dall'artista, carpendone i dettagli e i colori, le linee e gli intenti. Un'esperienza a tutto tondo che stimolerà i sensi del pubblico, invitato a entrare in contatto con i capolavori del pittore in maniera davvero partecipata, usando il proprio corpo come bussola per orientarsi all'interno di un viaggio che forse avrebbe incuriosito anche lo stesso Dalí. [Immagine in apertura: Inside Dalí. Courtesy Crossmedia Group]

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Bologna ospita l'arte sovversiva di Ai Weiwei

Il docufilm sul rapporto conflittuale fra Picasso e Parigi

Un nuovo studio svela perché le pietre di Stonehenge sono quasi indistruttibili

Esistono luoghi nel mondo il cui potere evocativo è così forte da riuscire a stimolare la nostra fantasia anche solo sentendone il nome, e il sito archeologico di <a href="https://arte.sky.it/archivio/2020/06/scoperta-stonehenge-sito-neolitico/" target="_blank">Stonehenge</a> (dichiarato patrimonio <a href="https://arte.sky.it/news/concorso-unesco-vie-della-seta" target="_blank">UNESCO</a> nel 1986) è sicuramente uno di questi. Proprio per gli enigmi insiti nella sua stessa costruzione, la famosissima struttura neolitica – collocata nella contea di Wiltshire, in Inghilterra, e risalente a circa 5000 anni fa – continua ancora oggi ad attirare la curiosità di molti. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia di una scoperta scientifica che contribuisce a diradare il fitto mistero in cui è immerso Stonehenge. <h2>IL DNA DELLE PIETRE DI STONEHENGE</h2> Una recente analisi fatta su un campione prelevato dalla cosiddetta “Stone 58” (cimelio lasciato in dono all’ex tagliatore di diamanti <a href="https://arte.sky.it/news/scoperta-origine-megaliti-stonehenge" target="_blank">Robert Phillips</a> dopo alcuni lavori condotti nell’area archeologica) suggerisce che la sua composizione geochimica possa averla resa estremamente resistente allo scorrere del tempo. Da un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica <a href="https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0254760" target="_blank">Plos One</a> pare proprio che i noti macigni siano composti per il 99,7% di cristalli di quarzo, incapaci di erodersi o sbriciolarsi: il che li rende praticamente indistruttibili. Lavorando insieme a un’équipe di esperti provenienti dal British Geological Survey, dall'English Heritage e dal Natural History Museum di Londra, il docente di geografia fisica all'Università di Brighton David J. Nash ha sottoposto il campione di Phillips a scansioni a raggi X e TC (tomografia computerizzata). Da ulteriori esami al microscopio è poi emersa la presenza di minuscoli grani disposti all'interno di incastri particolarmente fitti. Gli studi eseguiti sull’esemplare prelevato hanno reso possibile stabilire che le pietre fossero in parte composte tanto da sedimenti riconducibili al Paleogene – databili da 66 a 23 milioni di anni fa – che da materiale risalente alle ben più antiche ere mesozoica e mesoproterozoica. Queste nuove informazioni si sommano agli esiti dei precedenti studi, che hanno identificato in West Woods e nelle <a href="https://www.cambridge.org/core/journals/antiquity/article/original-stonehenge-a-dismantled-stone-circle-in-the-preseli-hills-of-west-wales/B7DAA4A7792B4DAB57DDE0E3136FBC33" target="_blank">Preseli Hills</a> gallesi le zone da cui proverrebbero le materie prime con cui è stato costruito il complesso di Stonehenge. [Immagine in apertura: Photo by K. Mitch Hodge on unsplash]

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