La prima retrospettiva di Cindy Sherman in Spagna negli ultimi 20 anni

Sono le celebri fotografie concettuali di <a href="https://arte.sky.it/news/2023/mostra-stoccarda-staatsgalerie-cindy-sherman" target="_blank">Cindy Sherman</a> le protagoniste della prima mostra personale dell’artista statunitense allestita in Spagna dopo oltre due decenni. L’esposizione, intitolata Cindy Sherman. The Women, è allestita nella sede sull’isola di Minorca della celebre galleria internazionale <a href="https://arte.sky.it/news/2024/mostra-cindy-sherman-hauser-wirth-new-york" target="_blank">Hauser & Wirth</a>, dove resterà aperta al pubblico fino al prossimo 26 ottobre.
Per celebrare la rivoluzionaria indagine di temi come l'identità e il genere condotta dalla fotografa americana, classe ’54, la retrospettiva raccoglie alcune tra le principali serie realizzate dall’artista fino agli anni Dieci di questo secolo. Gli scatti in mostra evidenziano così la complessità del lavoro di Sherman, che riesce a unire in ogni opera performance artistica, tecnica fotografica e indagine sociale per mostrare all’osservatore la stratificazione dell’immagine della donna nella società contemporanea.
<h2>GLI SCATTI DI CINDY SHERMAN IN MOSTRA A MINORCA </h2>
Per offrire una panoramica completa della carriera di Cindy Sherman, la rassegna spagnola raccoglie molti dei suoi <a href="https://arte.sky.it/news/2022/mostra-cindy-sherman-new-york" target="_blank" style="background-color: rgb(255,255,255); font-size: 16.0px; font-weight: 300;">lavori storici</a>, incluse le innovative serie intitolate Untitled Film Stills. Fu proprio grazie a queste immagini che, alla fine degli anni Settanta, l’artista si mise in luce come esponente di spicco della cosiddetta <a href="https://arte.sky.it/archivio/2020/05/disegni-louise-lawler-moma" target="_blank">Pictures Generation</a>, un ampio movimento creativo e multidisciplinare interessato all'impatto dei mass media e della cultura consumistica sull'arte.
I lavori fotografici successivi presentati nella mostra minorchina documentano la coerenza dell’indagine artistica di Sherman. Attraverso il simultaneo ricorso a tecniche come la sovrapposizione digitale, l’uso di protesi ed effetti speciali, l’artista statunitense continua infatti ad analizzare la percezione pubblica della femminilità. Le sue opere degli ultimi anni, come le serie Ominous Landscape e Flappers, sottolineano inoltre l’importanza del contesto visivo, messo costantemente in discussione utilizzando abiti di alta moda e creando scenari di fantasia come sfondo delle immagini.
<h2>IDENTITÀ E GENERE NELLE FOTOGRAFIE DI CINDY SHERMAN</h2>
Il titolo della mostra, Cindy Sherman. The Women, riprende esplicitamente l’omonima commedia scritta da Clare Boothe Luce nel 1936, dedicata alle interazioni tra donne di diverse classi sociali. Il legame concettuale tra la pièce teatrale di inizio Novecento e la retrospettiva ospitata dalla galleria Hauser & Wirth evidenzia l’assoluta rilevanza dell’opera di Sherman, anche nella società delle immagini odierna. Attraverso la costante demolizione visiva dei concetti di genere, ricchezza e privilegio, l’artista statunitense mette ancora in discussione temi come la rappresentazione dell’immagine e dell'identità femminile nei media contemporanei.
[Immagine in apertura: Cindy Sherman, Untitled Film Still #24 1978. Gelatin silver print, 20.3 x 25.4 cm / 8 x 10 in. Copyright and Courtesy Credits: All images: © Cindy Sherman Courtesy the artist and Hauser & Wirth]

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Un cranio del Museo di Antropologia di Firenze svela un dettaglio sorprendente

Un cranio preistorico custodito da decenni nel Museo di Antropologia dell’Università di <a href="https://arte.sky.it/news/2025/mostre-arte-firenze-estate-2025" target="_blank">Firenze</a> ha svelato un segreto affascinante: si tratta della più antica evidenza europea di modificazione intenzionale del corpo umano. Il protagonista della scoperta è uno dei cacciatori-raccoglitori sepolti nella grotta delle Arene Candide, in Liguria, tra 12.600 e 12.200 anni fa. 
Già descritto negli anni Settanta per la sua forma cranica allungata, oggi – grazie a moderne tecniche di antropologia virtuale e morfometria geometrica – questo cranio (denominato AC12) rivela un retroscena inaspettato: la sua forma non è frutto di malattia o incidenti, bensì di una pratica culturale volontaria. La scoperta, pubblicata su Scientific Reports da un team guidato dal Dipartimento di Biologia dell’Ateneo fiorentino, getta nuova luce sulle tradizioni identitarie della nostra specie. 
<h2>LA SCOPERTA AL MUSEO DI ANTROPOLOGIA DI FIRENZE</h2>
La deformazione cranica artificiale – ottenuta probabilmente tramite fasciature nei primi mesi di vita e già nota in civiltà storiche come Inca, <a href="https://arte.sky.it/foto/altro/messico-scoperta-struttura-maya" target="_blank">Maya</a> e Chinook – viene così retrodatata di millenni, collocandone le origini in Europa alla fine del Paleolitico Superiore. Assume ora un significato più profondo: non solo simbolo di appartenenza sociale o spirituale, ma anche espressione di identità personale e comunitaria. 
Inoltre, l'individoo è l’unico tra i sei ritrovati nella stessa grotta a presentare questo tipo di modificazione: si tratterebbe quindi di un tratto distintivo, forse riservato a pochi, che suggerisce pratiche identitarie complesse già in epoca paleolitica. Secondo la ricercatrice Irene Dori, questo tipo di intervento – imposto alla nascita e mantenuto per tutta la vita – potrebbe rappresentare delle antichissime “forme di differenziazione legate al sesso, all’età o alle abilità individuali, più che a strutture sociali di potere”.
<h2>UNA SCOPERTA CHE GETTA LUCE SULLE ANTICHE USANZE PREISTORICHE</h2>
Il cranio AC12, quindi, racconta di un’umanità che già 12mila anni fa cercava nel corpo un linguaggio per esprimere sé stessa, la propria appartenenza, la propria unicità. La scoperta mette in evidenza non solo il valore antropologico del reperto, ma anche “l’importanza e la ricchezza delle collezioni antropologiche del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino, che una volta di più si rivelano come una fonte inesauribile di conoscenze sulla biologia e sulle tradizioni culturali delle popolazioni del passato”, ha aggiunto Jacopo Moggi Cecchi, docente di Antropologia.
[Immagine in apertura: courtesy Università di Firenze]

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