Un Dalí ritrovato per caso va all’asta per una cifra stellare

Due anni fa, nell'ambito di una vendita di sgombero in una casa di Cambridge, un acquirente (senza saperlo) ha ottenuto per sole 150 sterline un’opera firmata da <a href="https://arte.sky.it/news/2025/libro-taschen-salvador-dali" target="_blank">Salvador Dalí</a>: sembrava un pezzo qualsiasi, nascosto tra oggetti dimenticati e polvere, ma si trattava di un lavoro originale del maestro del Surrealismo. Oggi, quel dipinto dal titolo Vecchio Sultano – un acquerello su carta realizzato nel 1966 – è pronto a tornare sotto i riflettori in un’asta ufficiale. Stimata tra le 20mila e le 30mila sterline, l’opera sarà battuta il 23 ottobre da Cheffins a Cambridge, con tutte le carte in regola: autenticazione, provenienza e una storia di quelle che sembrano uscite da un racconto delle Mille e una notte, proprio come il soggetto che raffigura. 
<h2>UN DIPINTO DI DALÍ “PERDUTO” VA ALL’ASTA</h2>
Il Vecchio Sultano è parte di una rara serie che Dalí iniziò negli anni Sessanta su commissione della coppia italiana Giuseppe e Mara Albaretto. Il progetto iniziale prevedeva illustrazioni per una Bibbia, ma l’artista catalano decise di virare verso l’universo fiabesco arabo. Ne nacque un ciclo di cento opere su cinquecento previste, molte delle quali andarono disperse, danneggiate o semplicemente dimenticate. Solo cinquanta furono conservate dagli Albaretto, mentre l’altra metà, affidata all’editore Rizzoli, è andata perduta nel tempo. 
Dal ritrovamento dell’opera nella periferia londinese, il quadro ha seguito un percorso di progressivo riconoscimento fino alla certificazione ufficiale da parte dell’esperto Nicolas Descharnes, che ha confermato l’autenticità grazie al confronto con altri pezzi della stessa serie.
<h2>IL “VECCHIO SULTANO” DI SALVADOR DALÍ</h2>
L’opera rappresenta un lato meno conosciuto della produzione di Dalí, distante dall’onirico e dallo stravolgimento visivo che caratterizza le sue tele più celebri. Il soggetto – un sultano con turbante gioiellato – non appartiene all’immaginario surrealista, ma testimonia l’interesse dell’artista per la cultura moresca e per il disegno illustrativo. La sua riscoperta ha acceso i riflettori su un’intera sezione della carriera del pittore rimasta fino a oggi in ombra; per questo la futura asta non rappresenta solo un colpo di fortuna per il collezionista che l’ha acquistata per poche decine di sterline, ma anche un’occasione per il mercato dell’arte di rivalutare opere considerate fino a oggi “minori”. 
[Immagine in apertura: courtesy Sergio Vanello]

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Le foto della grande mostra di Yayoi Kusama alla Fondation Beyeler

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Alberto Sordi e Federico Fellini di nuovo insieme a Rimini

Da un lato <a href="https://arte.sky.it/news/2025/siamo-tutti-alberto-sordi-programmi-tv-14-giugno" target="_blank">Alberto Sordi</a>, dall’altro <a href="https://arte.sky.it/news/2023/federico-fellini-programmi-tv-20-maggio" target="_blank">Federico Fellini</a>: due colossi del cinema italiano, nati entrambi nel 1920 a pochi mesi di distanza e legati da un’amicizia sincera e da un’intesa artistica unica. Fu Fellini, con il suo occhio visionario, a intuire per primo il talento travolgente di Sordi, dirigendolo ne Lo sceicco bianco (1952) e consacrandolo l’anno successivo in I vitelloni. Ambientata nella Rimini del regista, la pellicola regalò al pubblico l’indimenticabile “Alberto mammone”, personaggio che rivelò tutta la capacità di Sordi di farsi “maschera” universale della commedia italiana. Ed è proprio da questa collaborazione e da questo ruolo iconico che prende vita la mostra Alberto Sordi, maschera di un Vitellone, allestita negli eleganti spazi del Grand Hotel di Rimini fino al 28 agosto.
<h2>A RIMINI UNA MOSTRA “RIUNISCE” ALBERTO SORDI E FEDERICO FELLINI</h2>
La mostra si sviluppa come una sceneggiatura vivente: fotografie inedite, locandine, costumi, bozzetti e documenti originali restituiscono il talento multiforme di Sordi, “Colonnello della commedia all’italiana”. Dai primi passi nella radio e nel teatro di rivista, fino alle interpretazioni che hanno fatto storia — dal Nando Mericoni di Un americano a Roma al Marchese del Grillo di Monicelli —, ogni sezione è un capitolo della sua leggenda. E non mancano le battute entrate nel linguaggio comune, come il celebre “Lavoratori…” che, ancora oggi, strappa sorrisi e complicità generazionali. Il percorso mette in luce il fil rouge del “vitellonismo” felliniano che attraversa gran parte dei suoi ruoli, tra ironia, malinconia e quel tocco inimitabile di romanità che lo ha reso icona popolare. 
<h2>LA STORIA DEL CINEMA ITALIANO IN MOSTRA A RIMINI</h2>
I materiali esposti — provenienti dalla Casa Museo Alberto Sordi, dall'Istituto Luce-Cinecittà, dal Centro Sperimentale di Cinematografia e da numerosi archivi privati — compongono un mosaico di emozioni che attraversa sessant’anni di storia dello spettacolo. Tra i pezzi forti, il costume originale del Marchese del Grillo firmato da Gianna Gissi e i bozzetti de I vitelloni custoditi al Museo Cinema a Pennello. A impreziosire il racconto, le voci di colleghi e amici — Simone Casavecchia, Massimo Wertmüller, Gianna Gissi, Lorenzo Baraldi — che offrono testimonianze intime e inedite.
[Immagine in apertura: Alberto Sordi con Federico Fellini, Giulietta Masina e Valentina Cortese in una serata di beneficenza, 1955. Archivio Istituto Luce-Cinecittà]

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