Crediti Parco Archeologico di Pompei

Quali colori erano maggiormente usati a Pompei?

Altro

18 marzo 2025

Crediti Parco Archeologico di Pompei

Quali colori erano maggiormente usati a Pompei?

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18 marzo 2025

Un nuovo studio scientifico ha rivelato la composizione dei principali pigmenti utilizzati nelle pitture murali di Pompei fino all'eruzione del Vesuvio. I risultati di questa ricerca offrono una nuova prospettiva su materiali e tecniche artistiche di epoca romana, con implicazioni importanti per la conservazione e la ricostruzione degli affreschi pompeiani.

I pigmenti hanno sempre svolto un ruolo cruciale nella storia dell’espressione artistica, anche grazie all’evoluzione delle tecniche che ne hanno permesso l’impiego. In tale ottica, risulta di grande importanza la ricerca svolta sui campioni di colore rinvenuti presso gli scavi di Pompei, come dimostra l’articolo scientifico intitolato Pompeian pigments. A glimpse into ancient Roman colouring materials (Pigmenti pompeiani. Uno sguardo ai materiali coloranti dell‘antica Roma).

Lo studio, pubblicato nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista Journal of Archaeological Science, ha confermato il notevole livello di perizia tecnica raggiunto dagli antichi romani già all’epoca dell’eruzione del Vesuvio. Dalle analisi condotte sui campioni di pigmenti, è emerso infatti come gli artisti di Pompei fossero in grado di riprodurre una vasta gamma cromatica attraverso un articolato processo di selezione, combinazione e trasformazione di diverse risorse naturali, sia di origine organica che inorganica.

LA RICERCA CHE HA SVELATO I SEGRETI DEI PIGMENTI POMPEIANI

Lo studio condotto da un team di ricercatori dell’Università degli Studi del Sannio, in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei e l’Università Federico II di Napoli, ha preso in esame ventisei diversi pigmenti, la maggior parte dei quali conservati nei loro contenitori originali. Per poter indagare la più ampia tavolozza possibile di colori usati nell’antica città romana tra il III secolo a.C. e il 79 d.C., gli studiosi hanno seguito un metodo non distruttivo che combina diverse tecniche di spettroscopia, analisi digitale delle immagini e microscopia digitale.

Grazie a questo approccio, è stato possibile ottenere informazioni sul complesso processo di preparazione dei colori prima della loro applicazione finale, ricostruendo l’origine di una vasta gamma di pigmenti. Lo studio ha così confermato la grande abilità degli artisti pompeiani nella miscelazione di colori come il blu egizio, il rosso piombo, nonché i bianchi a base di calcite e dolomite e i neri di origine carboniosa, tutti ottenuti attraverso un attento dosaggio delle materie prime, da unire per creare un'ampia varietà di sfumature.

L’IMPORTANZA DELLA RICERCA PER LA CONSERVAZIONE DEGLI AFFRESCHI DI POMPEI

Tra le scoperte più rilevanti dello studio, si annovera inoltre l’individuazione del più antico composto di barite e alunite mai rinvenuto nell’area del Mediterraneo, attestando il primo utilizzo conosciuto di tali elementi come ingredienti principali in un pigmento grigio. I ricercatori hanno inoltre potuto calcolare l’esatta quantità di coloranti utilizzati nei diversi processi, offrendo un’affascinante prospettiva per i futuri studi sulle pratiche seguite da artisti e artigiani nell’antica Roma.

Oltre agli evidenti vantaggi in termini di conservazione dei preziosi affreschi di età romana, grazie a cui sarà possibile in futuro ricreare con grande accuratezza le miscele originali per qualsiasi intervento di restauro, l’approccio seguito dal team interdisciplinare evidenzia ancora una volta l'importanza della ricerca scientifica per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale di un tesoro dell’umanità come l’area archeologica di Pompei.

[Immagine in apertura: crediti Parco Archeologico di Pompei]

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