Amatrice e Accumoli, i due Comuni del Lazio fortemente colpiti dal terremoto del 2016, ospitano per la prima volta dopo cinque anni una mostra d'arte. Una rassegna negli spazi esterni, ancora deturpati dal sisma, per raccontare la sofferenza di chi ha deciso di restare. E ripartire.

Non è facile parlare di “rinascita” di fronte a una tragedia come quella che ha colpito il Centro Italia la notte del 24 agosto 2016. I ricordi di quei momenti sono ancora vividi nella mente di chi ha subito in prima persona il trauma del sisma. Così come vividi, e purtroppo tangibili, sono gli effetti di quell'evento – un incubo a occhi aperti che ha spezzato il sonno di 600mila persone, causando la morte di oltre 300 abitanti. A cinque anni da quella notte maledetta, molti territori di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo sono ancora teatro di macerie e rovine, e se una parte dei circa 41mila sfollati ha iniziato a ripopolare quei luoghi devastati (resistendo a lungaggini, rinvii e rimpalli di responsabilità che hanno rallentato il processo di ricostruzione), per molti altri la normalità è lungi dall'essere anche solo visibile all'orizzonte. La speranza di ripartire, in questi casi, si mescola alla rabbia e al dolore di chi ha perso tutto, insieme alla necessità di resistere e guardare al domani con speranza. Oltre la retorica e le frasi di circostanza. UNA MOSTRA FOTOGRAFICA DIFFUSA Ad accendere nuovamente i riflettori sull'evento sismico, sottolineando la caparbietà di chi è rimasto e ricordando la sofferenza di chi ancora attende risposte, è oggi una rassegna outdoor negli spazi pubblici delle due città simbolo del dramma: Amatrice e Accumoli, i due Comuni laziali situati in prossimità dell'epicentro, e per questo rasi al suolo dalle ripetute scosse. Curatrice della mostra – dal titolo Di semi e di pietre. Viaggio nella rinascita di un territorio – è Giulia Ticozzi. A lei il compito di rielaborare e dare forma all'immenso archivio fotografico realizzato nel corso degli ultimi cinque anni da Michele Borzoni, Simone Donati, Pietro Paolini e Rocco Rorandelli. Recatisi sui luoghi del sisma nelle ore successive al dramma, e documentando il difficile percorso di ricostruzione, i fotografi – fondatori del collettivo TerraProject – hanno raccontato con i loro scatti soprattutto le storie delle persone: una narrazione costante, lenta e lontana dal clamore dei primi giorni. L'IMMAGINE COME DOCUMENTO Sono oltre centoventi gli scatti selezionati: immagini stampate in grande formato e allestite negli spazi aperti, con installazioni site specific pensate per essere vicine agli abitanti. Collocate in sette tappe differenti tra Amatrice e Accumoli, le fotografie raccontano i volti, le condizioni abitative precarie e il lavoro di ricostruzione. E poi le attese, gli sguardi smarriti dei ragazzi, la determinazione di chi ha scelto di restare e i paesaggi feriti dell'Appennino – spettatore silenzioso della tragedia. Ma, al di là della componente estetica e intellettuale, il senso del progetto (visitabile fino al 5 settembre) è quello di riportare nuovamente l'attenzione sulla situazione a cinque anni di distanza dal terremoto. La fotografia, dunque, è qui usata come strumento documentaristico nella sua accezione più ovvia e diretta: l'immagine si fa mediatrice per comprendere il presente in un tempo che scorre, invitando l'opinione pubblica a non lasciare indietro chi ancora attende di conoscere il domani. [Immagine in apertura: Villa San Lorenzo, marzo 2017. Le casette mobili nella frazione di Villa San Lorenzo, frazione di Amatrice. Courtesy TerraProject]
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