Dai futuristi a Eugenio Montale. Ai tavoli del caffè letterario Giubbe Rosse, nella centralissima Piazza della Repubblica di Firenze, si sono seduti artisti e intellettuali che hanno fatto la cultura del nostro Paese. Ora anche un decreto ministeriale sancisce il valore di questo speciale locale.

C'è un locale a Firenze che racconta una storia tutta particolare. Una storia iniziata alla fine dell'Ottocento e proseguita negli anni, incrociando alcuni dei nomi e dei movimenti più importanti della cultura nazionale. Si tratta del Caffè Letterario Giubbe Rosse (nell'immagine in apertura: Photo Valentina Silvestrini), divenuto un “bene culturale” da tutelare grazie a un recente decreto ministeriale.Tra i più celebri caffè storici italiani, venne aperto nel 1896 per mano dei  fratelli Reininghaus. Punto di riferimento della comunità tedesca a Firenze, il caffè – allora birreria – si contraddistingueva per le giacche dei camerieri, di colore rosso, secondo l'uso viennese: un tratto distintivo che ne ha caratterizzato il nome, a partire dal 1910. Vero e proprio crocevia di arte e letteratura, il caffè ospitò per tutto il Novecento illustri figure della nostra cultura. Durante la stagione futurista, Marinetti, Boccioni, Russolo, Palazzeschi e Carrà dibattevano animosamente ai suoi tavoli; subito dopo il primo conflitto mondiale, diventò luogo di ritrovo per Eugenio Montale, Umberto Saba e per la redazione della rivista Solaria. E poi, ancora, Carlo Bo e Mario Luzi negli anni Trenta, seguiti da Elio Vittorini e Salvatore Quasimodo nel secondo dopoguerra. Una storia lunghissima e affascinante, insomma, che ha portato il Caffè Letterario Giubbe Rosse a diventare un vero e proprio "monumento" della cultura nazionale.È per questo che, su proposta della Soprintendenza di Firenze, il Ministero dei Beni Culturali ha emesso di recente un decreto che ne certifica il valore storico e stabilisce la tutela degli interni: dalla vetrata d'ingresso in stile liberty ai balconi in legno scuro; dalle lampade alle appliques in tessuto rosso.
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