Il 18 e 19 giugno approda al cinema il docufilm dedicato al famoso scultore italiano Jago. La pellicola ripercorre uno spaccato di due anni della sua vita, dal momento in cui da New York decide di tornare in Italia, a Napoli, per realizzare la sua versione contemporanea della "Pietà" di Michelangelo.

Artista che ripercorre le orme dei grandi maestri, ma anche giovane “pop star” al centro di un fenomeno mediatico di portata planetaria (con oltre un milione di seguaci sui social), Jago è protagonista di un documentario che si prepara a conquistare le sale italiane il 18 e il 19 giugno. Con la regia e la sceneggiatura di Luigi Pintore, Jago into the white racconta le sfide, i sentimenti e le paure affrontate dall’artista in una delle sue ultime imprese, quando da New York, città in cui si era trasferito per lavoro, torna in Italia per realizzare la sua personale rivisitazione di un’opera estremamente significativa: la Pietà di Michelangelo.NELLE SALE IL DOCUMENTARIO DEDICATO A JAGOJago into the white – una produzione JCJ Srl con le musiche originali di Andrea Felli – è la storia di un uomo comune, costretto a fare i conti con il proprio talento per riuscire a esprimere emozioni nuove e mai provate prima, trasmettendole dal suo corpo alla pietra un colpo di scalpello dopo l’altro. La pellicola mostra allo spettatore come le vie dell’arte possano essere infinite. Jago, in particolare, sceglie di seguire gli insegnamenti degli antichi maestri del Rinascimento italiano, attraverso la forma verosimile che emerge dal candido marmo: le telecamere ne seguono passo passo il processo creativo, documentando un percorso che "diventa in questo senso molto più importante dell’opera", sottolinea Luigi Pintore, "perché quella forma – 'La Pietà' rivisitata – non avrebbe senso se prima non ci fosse stato quel sudore, quella fatica, se non avessimo visto con i nostri occhi quei momenti di esaltazione e quelle giornate di scoraggiamento".JAGO E IL SUO RAPPORTO CON IL MARMOQuello che il film delinea è il ritratto di un artista “consapevole che tutta l’arte passa dall’energia. Che vita e arte non devono necessariamente viaggiare separati. E che l’arte non è solo testimonianza di ciò che siamo, ma è soprattutto immagine di ciò che possiamo essere”, spiega il regista. “Quello che mi ha interessato maggiormente”, confida l'autore, “è stato il rapporto quasi agonistico che Jago ha con il marmo. Quella chiesa a un certo punto è diventata un ring. Il marmo il suo avversario. E lui era lì, da solo, ripresa dopo ripresa, a cercare di vincere la sua sfida”.[Immagine in apertura: Jago, Aiace e Cassandra]
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