Chi ha paura dei Rolling Stones?
LETTERATURA
Un nuovo volume edito da Arcana ripercorre eccessi e successi della
storica band britannica, soffermandosi sull'ostracismo subito dal
gruppo in Italia, negli anni Sessanta e
Settanta.
Quella tra Beatles e Rolling Stones è
senza alcun dubbio la più grande rivalità mediatica della storia
della musica. Una rivalità, in realtà, studiata a tavolino dalle
case discografiche che delle due band coordinavano il successo. Fu in
particolare il manager degli Stones, Andrew Loog Oldham, a presentare
al mondo Mick Jagger e compagnia, adottando una strategia di
comunicazione legata proprio al loro aspetto trasandato e sconcio.
Reale o costruita che fu, la
contrapposizione tra le due più grandi band della storia si è
cementificata nel corso del tempo, arrivando fino a noi generazione
dopo generazione: da una parte i Beatles – piacevolmente
rassicuranti con il loro pop e i loro capelli a caschetto –
dall'altra gli Stones – gli attori “cattivi e ribelli” di
questa eterna lotta tra il bene e il male. Un nuovo libro alza il
sipario proprio sull'atteggiamento sovversivo delle “pietre
rotolanti”, soffermandosi in particolare sull'ostracismo subito
dalla band anche nel nostro Paese.
IL ROCK AL LIMITE DEI ROLLING STONES
Autore del volume – dal titolo Chi
ha paura dei Rolling Stones? Eccessi e successi della più grande
rock’n’roll band del mondo descritti dalla stampa italiana (nell'immagine in apertura un dettaglio della copertina) –
è Alberto Pallotta, scrittore e critico cinematografico romano,
grande conoscitore del gruppo britannico. “Ho speso più soldi
per i Rolling Stones che per qualsiasi altra cosa. Un pezzetto della
chitarra di Keith Richards è anche il mio. Un po’ come Vittorio
De Sica, quando a Montecarlo indicava il palazzo del casinò e
diceva ad Alberto Sordi di essere proprietario di una parte
dell’edificio, per quanto denaro vi aveva perso alla roulette”,
scrive Pallotta nell'introduzione al libro.
Suddiviso in capitoli, ognuno dei quali
dedicato a un episodio o a un aspetto iconico relativo alla band, il
volume ripercorre le ragioni dietro la cattiva fama del gruppo: dalla
loro nascita nel 1962 nel segno di Robert Johnson e Muddy Waters, al
primo articolo apparso sulla stampa nazionale nel 1964, dai continui
scontri con la censura e con le forze dell'ordine, alle ripercussioni
che quella nomea ebbe sul pubblico italiano, generalmente
conservatore e suscettibile di fronte alle disavventure degli Stones
(culminate con l’omicidio di uno spettatore durante lo storico
concerto di Altamont).
LE PAROLE DI ALBERTO PALLOTTA
“La stagione del grande rock ha
solo sfiorato il nostro Paese, dove il pop è stato sempre più
amato e la musica dei Beatles è stata sempre ritenuta più
tranquilla e orecchiabile”, commenta l'autore all'interno del
libro, edito da Arcana. “Da noi, tanti anni fa, erano pochissimi
quelli che conoscevano l’inglese e il prodotto anglosassone, nei
suoi termini incomprensibili, metteva a disagio la massa. Erano molto
più confortanti le cover di brani famosi, tradotti, spesso, con
tutt’altro significato, nella nostra lingua. Se i Beatles erano dei
rivoluzionari, degli innovatori, gli Stones erano dei sovversivi che
attingevano dal blues. Entrambi erano frutto di
corposi movimenti generazionali, ma tra loro erano molto diversi”.
“Ne erano successe troppe perché
la loro reputazione non ne risentisse”,
continua Pallotta. “I continui arresti e guai con la
giustizia per detenzione e uso di stupefacenti, le continue canzoni
censurate, la morte del chitarrista Brian Jones, il citato episodio
di Altamont, perfino le accuse di satanismo e la scomunica da parte
di un arcivescovo”. Cosa rimane oggi di quel periodo? Tanti
interessanti articoli di giornale e la convinzione che, nonostante i
tempi siano mutati e le sonorità si siano evolute, e la voglia di
cambiare il mondo si sia tristemente placata, il rock’n’roll non
è morto. E questo i fan degli Stones lo sanno.