Il Palazzo della Paure di Lecco racconta la corrente dell’Informale europeo attraverso un'accurata selezione di ben 60 opere. In mostra troviamo non solo i lavori di grandi maestri come Alberto Burri e Lucio Fontana, ma anche quelli degli esponenti "minori", così da ricostruire un quadro completo del movimento.

Pur rifiutandosi di confinare la tendenza artistica in codici troppo serrati e definiti, il critico Michel Tapié conia il termine “informale” nel 1951. ‌Nel secondo dopoguerra, questa corrente si afferma in Europa in risposta allo smarrimento provocato dall’assurdo conflitto che aveva appena consumato il mondo intero. A partire da quel sentimento di sconforto condiviso, gli artisti si allontanano drasticamente dal figurativismo per dare risalto alla materia: la nuova tappa del ciclo espositivo Percorsi nel Novecento del Palazzo delle Paure a Lecco approfondisce questo passaggio chiave del secolo scorso.L’INFORMALE AL PALAZZO DELLE PAURE DI LECCOLa retrospettiva INFORMALE. La pittura italiana degli anni Cinquanta – a cura di Simona Bartolena e visitabile fino al prossimo 30 giugno – riunisce ben 60 opere di maestri del calibro di Alberto Burri e Lucio Fontana, Afro Basaldella ed Emilio Vedova, solo per citarne alcuni. Ma è attraverso gli esponenti "minori" che riusciamo a cogliere al meglio l’intenzione del movimento: come spiega la curatrice Simona Bartolena, infatti, “i veri protagonisti di questa stagione sono ben altri: artisti forse meno noti, ma ben più esemplificativi per comprendere le ragioni di un momento storico. Per questo, in mostra, oltre ai nomi più celebri, ho voluto proporre opere di artisti meno conosciuti, talvolta quasi dimenticati, ma dai linguaggi potenti ed espressivi, che sapranno certo stupire i visitatori”. Così scopriamo le “sottocorrenti” secondarie, come la figurazione reinterpretata da Ennio Morlotti e Mattia Moreni, o il Realismo esistenziale di Mino Ceretti e Bepi Romagnoni.L’INFORMALE E IL SENTIRE COMUNE DEL SECONDO DOPOGUERRAQuella che troviamo in mostra è “la scena artistica di un’Europa seduta sulle macerie della propria civiltà”, spiega ancora Bartolena, “uscita stravolta dal secondo conflitto mondiale e dagli orrori dei governi totalitari. Il futuro sembra solo un’ipotesi priva di concretezza, il presente è nebuloso, effimero, frammentato. Smarrita ogni sicurezza”, prosegue la storica dell’arte, “l’individuo si trova solo con se stesso, perso nella dimensione immanente dell’esistenza, senza alcuna fiducia nel prossimo. L’artista non è, ovviamente, estraneo a questo scenario. L’ipotesi di un’arte che possa farsi portatrice di un messaggio universale, che possa essere di utilità pubblica, è messa drammaticamente in crisi. Il potere comunicativo dell’arte non interessa più. L’uomo è solo, unico responsabile delle proprie scelte, e l’arte si fa interprete di questa dolorosa, ma lucidamente cosciente, solitudine”, conclude la curatrice.[Immagine in apertura: Emilio Vedova, Scontro di situazioni opera 13, 1959, litografia, collezione privata]
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